Artigianato

Il viaggio a Matera non è soltanto la scoperta di una meravigliosa città d’arte, unica nel suo genere, inserita in un paesaggio mozzafiato, ma anche la piacevole sorpresa di una città viva che conserva ancora intatte sue antiche tradizioni religiose e popolari, e che ha sempre fatto dell’artigianato e dell’enogastronomia un segno distintivo della propria cultura. Gli antichi mestieri artigianali, come la lavorazione della pietra, della ceramica, della cartapesta, del ferro battuto, del legno e l’arte orafa si tramandano ancora di padre in figlio. Così come si tramandano di padre in figlio il mestiere del panettiere, dell’ortolano, del vignaiolo, del pasticcere. Il visitatore rimarrà piacevolmente sorpreso dai prodotti dell’artigianato locale e dai sapori della cucina tradizionale.

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Pietra

Terracotta e ceramica

Cartapesta

Ferro battuto

Arte orafa

Legno

Calzolaio

Tessuti e ricami

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Pietra

La pietra locale è la Calcarenite di Gravina, una roccia sedimentaria d’origine marina in cui compaiono spesso piccoli frammenti d’origine animale, ma volgarmente è detta Tufo perché utilizzata un tempo nelle costruzioni delle abitazioni. Si tratta d’una roccia molto porosa che assorbe acqua e per questo motivo si deteriora col passare degli anni. L’azione continua degli agenti atmosferici e le variazioni di umidità e di temperatura possono creare la conseguente comparsa di buchi e cavità di una certa consistenza. Il colore può variare dal giallo paglierino al bianco-grigio a seconda del luogo d’estrazione. La facilità d’estrazione e di lavorazione ha consentito il suo utilizzo sin dalla Preistoria. Nel Neolitico si scavava la roccia per cingere l’abitato con un fossato difensivo, costruire, col materiale ricavato durante lo scavo, un muretto a secco allo scopo di difendere gli ovini e i caprini del villaggio dall’attacco di animali feroci (come il lupo). Inoltre si ricavavano nella roccia il piano per le fornaci, le vasche per la decantazione delle argille e la conservazione delle derrate alimentari, le cisterne per la raccolta dell’acqua piovana e le fosse per alloggiare i pali delle capanne. Molto spesso la facciata in muratura aggiunta alle grotte dei Sassi veniva costruita utilizzando il materiale ricavato dallo scavo della grotta stessa. I capitelli, i rosoni e gli altari delle chiese, gli archi, i balconi e i comignoli delle case, sono il segno evidente di quanto la lavorazione della pietra sia stata parte integrante del bagaglio culturale della città. Sul finire del Seicento, a causa di un notevole incremento demografico, si crearono le prime cave fuori dal centro abitato, ai margini della murgia, lungo la via Appia, dove affiorano le calcareniti. Nessun mestiere al mondo fu più duro di quello dei cavamonti o zuccatori, uomini costretti a colpire la pietra col piccone per la necessità di dover portare il pane a casa. Un mestiere massacrante a cui in passato, in altri luoghi, erano stati obbligati gli schiavi e i condannati ai lavori forzati. La giornata dei cavamonti, agli inizi del secolo scorso, cominciava all’alba e terminava al tramonto, quando sul carro erano ben allineati e pronti per partire almeno cinquanta blocchi di pietra tutti delle stesse dimensioni e ben squadrati. Solo negli anni Cinquanta l’estrazione divenne meccanizzata, con seghe a motore che scorrevano sui binari. Oggi nel territorio comunale di Matera le cave sono quasi tutte abbandonate, ne sopravvive soltanto una lungo la SS. 7 Appia in direzione Laterza (TA) e un’altra è attiva nel territorio di Montescaglioso (MT) a circa dieci chilometri dalla città. Gli artisti della pietra, oltre che utilizzare il materiale estratto dalle cave per i lavori di restauro delle case dei Sassi, sono abili a creare complementi di arredo e numerose opere d’arte.  Lo scultore Pietro Gurrado realizza splendide statue policrome ispirate all’immaginazione, ai personaggi della storia, miti e tradizioni. Gli scultori associati di Progetto Arte e Materia Arte realizzano complementi d’arredo, componenti per finiture architettoniche, oggettistica, sculture, corpi illuminanti, bomboniere, orologi in pietra, mentre BG Arte e Sassi in Miniatura sono per lo più orientati ai turisti, realizzano prese d’aria, lampade d’arredo, presepi, bassorilievi e souvenir per turisti.

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Terracotta e ceramica

L’arte di modellare l’argilla nel territorio materano, proprio come quella di scavare la roccia, risale al Neolitico. Le famose ceramiche dello stile di Serra d’Alto, che caratterizzano i periodi Neolitico Medio e Finale, provengono da una collina argillosa non molto distante dai Sassi. Dalla Preistoria fino agli inizi del Novecento si realizzarono con l’argilla solo oggetti d’uso domestico. Nelle vecchie fornaci, in via della Croce, si producevano mattoni, oggetti per la cucina, tegole e pluviali di terracotta per le case. Gli apprendisti, cui veniva affidato il compito di impastare l’argilla con i piedi, detti “pestacreta”, arrotondavano la paga realizzando piccole sculture che raffiguravano “le pupe” e fischietti colorati con la forma di galletto detti “cuccù” che vendevano il Lunedì dell’Angelo nella zona detta dei Cappuccini (dove si festeggiava la Pasquetta). La prima vera fabbrica di laterizi e di ceramiche risale al 1921. Il primo imprenditore del settore fu Gioacchino Cappelluti Altomare, giunto in città nel 1915 come titolare dell’impresa impegnata nella costruzione della linea ferroviaria Matera-Altamura delle Ferrovie Appulo Lucane. Con la fabbrica nacquero anche le prime case in mattoni costruite lungo via Cappelluti e via Passarelli. La fortuna di quelle ceramiche si deve alla creatività del disegnatore Guido Spera, giunto a Matera da Tito, un paese vicino Potenza, che a Napoli aveva frequentato l’Accademia delle Belle Arti. I suoi disegni erano ispirati a scene campestri che esaltavano le attività agropastorali e a motivi tratti dalla ceramica magno greca. In seguito furono assunti in azienda un decoratore di Faenza e un’intera famiglia di tornitori di Grottaglie che contribuirono a creare una eccellente scuola di ceramica con disegnatori e decoratori locali, in grado di realizzare oggetti in maiolica che riprendevano le tradizionali decorazioni della ceramica di Faenza e di Delfi. La vecchia fabbrica di laterizi, che aveva da tempo abbandonato la produzione di ceramica, dopo essere stata venduta nel 1958 alla ditta Manicone & Fragasso chiuse i battenti sul finire degli anni Ottanta per il frequente utilizzo del cartongesso, del prefabbricato, del vetro e del cemento, che contribuirono a modificare le tecniche di costruzione delle abitazioni e con essa il volto stesso della città. Oggi la produzione artigianale è piuttosto varia perché ciascuno degli artisti locali tende a personalizzare il proprio prodotto. Giuseppe Mitarotonda realizza tavolette in ceramica, piatti, lumi e zuppiere in maiolica con le inconfondibili scene campestri che rappresentano momenti di vita quotidiana, usanze religiose e fatti antichi tratti dalla storia della città. Nisio Lopergolo, che ha scolpito le pareti del suo laboratorio nei rioni Sassi, riproduce oggetti antichi come la brocca di Pitagora e ha sviluppato stili, tecniche e approcci diversi ai molteplici linguaggi dell’arte contemporanea. Pasquale Di Lena realizza stoviglie invetriate e oggetti tipici della tradizione locale che anticamente venivano usati in cucina. Particolarmente ricercate sono le giare smaltate a fuoco di grandi dimensioni, tradizionalmente usate per la conservazione di olio o vino. Raffaele Pentasuglia crea personaggi ispirati alla realtà e alla fantasia, statue per il presepe, busti commemorativi ed esegue ritratti su commissione. Pietro Gurrado modella fischietti in terracotta con la forma di lunghi cavalieri e di alberi, sculture in terracotta con immagine fantastiche e personaggi della storia e della fantasia ispirati alla tradizione. Marco Brunetti si occupa dell’intero processo di lavorazione dei tradizionali cuccù proposto in forme e colorazioni differenti. Marco D’Addiego realizza oggetti in terracotta e ceramica smaltata con i colori della tradizione locale. Brocche e tazze in ceramica, statuine con soggetti tradizionali e tanti bassorilievi che rappresentano i Sassi.

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Cartapesta

L’arte della cartapesta trova la sua massima espressione nella realizzazione del Carro Trionfale in onore dalla Madonna della Bruna, protettrice della città. La festa della Bruna si svolge il 2 luglio e il carro che trasporta la Madonna col Bambino, al termine della processione che attraversa la città viene distrutto dall’assalto della folla. Ogni anno i maestri cartapestai devono dimostrare la loro bravura per ottenere il privilegio di realizzare il nuovo carro. Il cartapestaio che realizza il carro trionfale deve possedere competenze nel campo della pittura, della scultura, della lavorazione del legno e dell’architettura. Le scuole della cartapesta per tradizione sono state coltivate nelle famiglie dei cartapestai che hanno tramandato con cura la tecnica di lavorazione fino ai nostri giorni. È grazie alle famiglie Epifania, Pentasuglia, Nicoletti, D’Antona, Conversi, Amoroso, Ruggieri, D’Addiego se la tecnica di lavorazione della cartapesta negli ultimi tre secoli non è andata perduta per sempre. Il maestro Andrea Sansone, con i ragazzi della sua bottega che egli stesso ha definito “le facce da carro”, ha saputo rinnovare negli ultimi anni il Carro della Bruna nelle forme e nei colori. Mario D’Addiego crea presepi in cartapesta ambientati nei caratteristici rioni Sassi. Aldo Urgo nella bottega di Porta Pepice realizza soggetti religiosi con la tecnica della cartapesta a strati, ricoperta di gesso e di colla, con una mano di tempera bianca, e dipinta con colori acrilici e con vernici.

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Ferro battuto

La lavorazione del ferro ha origini antiche e risale agli albori della storia, quando l’uomo per difendersi dal proprio simile realizzava armi in ferro. In età moderna, oltre al fondaco del ferro e dell’acciaio, in via delle Ferrerie, l’attuale via del Corso, c’erano numerose ferrerie, botteghe artigiane che vendevano e lavoravano il ferro per costruire cerchi per le ruote dei carri, per i tini del vino, ferri per i cavalli e ringhiere per i balconi. Grazie all’impegno di giovani fabbri, negli anni Cinquanta nella zona delle fornaci, piazza Cesare Firrao, s’insediarono canapai e botteghe di fabbri dotate di una fucina per la forgiatura a fuoco del ferro. Si realizzavano spalliere da letto, ringhiere, attrezzi per il camino, candelabri, accette e zappe. All’esterno si raccoglievano ferri contorti, aratri spezzati e altri oggetti inutilizzabili per essere riciclati all’occorrenza. Sul finire dell’Ottocento, nelle botteghe dei calderai, in via delle Beccherie, con l’incudine e il martello si realizzavano oggetti per la cucina, pentole e caldaie in rame di varie dimensioni ricoperte di uno strato di stagno. Tra i calderai che avevano la loro bottega in via delle Beccherie, Filippo Colonna ha avviato con i suoi figli un’azienda che produce condotti per impianti di aria condizionata, un esempio concreto di come sia realmente possibile per un artigiano trasformarsi in imprenditore. Sopravvivono in città alcune piccole botteghe artigiane come quella di Vignola Nicolangelo, di Maragno & Di Lecce, di Latorre Arte e di Arte in Ferro che realizzano pregevoli oggetti d’arredamento, e aziende specializzate nella lavorazione del ferro e nella finitura superficiale dei metalli come Eurometal.

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Arte orafa

Botteghe locali dedicate alla produzione di oggetti in oro e argento, con metalli e pietre preziose si attestano a Matera sin dal Trecento. Ai prodotti di importazione provenienti da Napoli e dalla sponda opposta dell’Adriatico s’affiancarono le produzioni di ornamenti femminili degli argentieri e orafi materani che imprimevano ai loro preziosi manufatti, quale marchio di bottega, il punzone “Mata”. Per secoli le botteghe degli orafi e degli argentieri furono concentrate in Piazza del Sedile, e producevano monili femminili come si evince dai contratti matrimoniali stipulati dai notai custoditi presso l’Archivio di Stato della città. Si racconta che nel 1480 quando i Turchi presero Otranto, il Re di Napoli, Ferdinando d’Aragona, trovandosi in difficoltà economiche chiese aiuto alle popolazioni del Regno affinché donassero l’argento per ricavare carlini. In quella occasione il capitolo metropolitano fece dono tra le altre cose del braccio d’argento del 1463 che conservava la reliquia di San Giovanni da Matera, il fondatore dell’ordine monastico benedettino dei Pulsanesi. La teca, opera di un argentiere materano, fu ricomprata dal nobile Toto Santoro insieme alla croce maggiore della chiesa. Nel Seicento l’argenteria della cattedrale fu nascosta in un “tavuto” per scongiurare il pericolo di ruberie. Attualmente l’arte orafa sopravvive grazie alla tenacia di abili maestri. Giorgio Simeone realizza in oro giallo etrusco e con lapislazzuli, spille e orecchini raffiguranti le cariatidi e girogola in oro martellato d’ispirazione classica. Giuseppe Maragno crea bracciali e collane di perle, anelli in oro giallo in lavorazione etrusca con diamante o perla coltivata. Elisa Tummillo e Johanna Curti realizzano artigianalmente collane, anelli e bracciali in argento, rame, alluminio e pietre preziose.

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Legno

L’arte di lavorare il legno per creare utensili d’uso quotidiano è nata con i pastori che durante le pause di lavoro si dedicavano ai lavori artistici per creare statue, cucchiai, mestoli, figure di animali e il timbro del pane, dove erano incise le iniziali del nome e cognome del capo famiglia, per poter riconoscere il proprio pezzo di pane dopo la cottura al forno comune. I vecchi maestri d’ascia nelle loro botteghe costruivano mobili, botti, barili, traini e calessi, portali, arredi per le chiese cittadine e trottole di legno duro per il piacere dei bambini. Negli anni Sessanta nei laboratori artigianali dei maestri falegnami Pasquale Natuzzi, Saverio Liborio Calia e Giuseppe Nicoletti, cresciuti a loro volta come giovani apprendisti di piccole botteghe, si costruivano i primi divani e poltrone. Passati negli anni Settanta alla produzione industriale fondarono rispettivamente Natuzzi Salotti, Calia Salotti e Nicoletti Salotti, le principali aziende del distretto industriale del mobile imbottito; negli anni hanno saputo coniugare la maestria degli artigiani di una volta con un prodotto di assoluta qualità, fiore all’occhiello del made in Italy, diventando leader mondiali del settore. Oggi nelle piccole botteghe artigiane sopravvive l’arte della produzione e del restauro di mobili a intarsio. Massimo Casiello, esperto nella tornitura artistica del legno riesce a coniugare la tradizione locale dei timbri del pane con la ricerca di nuove forme artistiche. Emanuele Mancini oltre a creare i mobili di ebanisteria di una volta, quali letti, cassapanche e comodini intagliati e intarsiati in legno di noce o di ciliegio, fa rivivere attraverso la sua arte oggetti tipici della civiltà contadina quali cucchiai in legno e timbri per il pane. Antonio Manicone crea arredi in legno: cassapanche, credenze, culle in multistrato di pioppo e di cuoio o di iuta completamente priva di chiodi, comò, letti matrimoniali, tavoli e librerie. Il materiale utilizzato è il massello di ciliegio, di noce, di olmo, di abete e di altri legni pregiati. Gli intarsi sono di varie essenze come il palissandro, il padouk, la radica, l’acero e incastonature in lamine d’argento.

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Calzolaio

 Il calzolaio è un mestiere antico che non è mai passato di moda, anche se la produzione è appannaggio di piccoli e grandi calzaturifici. In origine il ciabattino era un mestiere ambulante, gli artigiani vagavano da una zona all’altra della città con in mano la cassetta degli attrezzi, sempre pronti a riparare le scarpe rotte. Si lavorava sull’uscio delle abitazioni, in un vicinato, in un portone oppure in un angolo di strada, e solo in seguito si crearono piccole botteghe. Oltre a riparare le scarpe, e a rinforzare le suole e i tacchi, i maestri calzolai erano abili a realizzare scarpe alla moda e su misura. Il maestro Vitullo, noto in città come Pannera, allestì con i figli uno dei primi negozi di scarpe, attività che ha chiuso solo pochi anni fa. Il calzolaio Giuseppe Staffieri nella sua bottega di via Marconi ripara calzature e articoli da viaggio in pelle, cuoio e altri materiali simili; mentre il calzolaio Rocco Fuda, titolare della Risolatrice la rapida ripara e crea scarpe su misura.

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Tessuti e ricami

L’arte di tagliare e cucire tessuti, d’intrecciare fili e di ricamare è sempre stata a Matera per cultura un’attività di primo piano nell’economia della famiglia. Un tempo erano le suore Figlie di Sant’Anna a insegnare alle ragazze i segreti del mestiere, della cardatura della lana e del fiocco di cotone, per trasformarli in filo e ricavare gomitoli, alla manipolazione delle fibre tessili del lino, fino all’utilizzo del telaio per filare e approntare la dote, che normalmente si prendeva in fitto. Fino agli anni Cinquanta per tradizione la macchina da cucire Necchi era ancora il regalo che tutte le mamme facevano alle figlie che prendevano marito. Tutti ne hanno avuta una in casa. Ancora oggi nei laboratori artigianali di maglierie, con la lana e con altri tipi di filati, si creano cappelli, sciarpe, maglie, pizzi ricamati, scialli, tende e indumenti per bambini lavorati con i ferri, con l’uncinetto e con la macchina per maglierie e si tengono corsi per imparare le tecniche di base. Un laboratorio artistico di filati, maglie e ricami è situato proprio nel sasso Barisano, grazie al ritorno negli antichi rioni di Angela Ramundo. Nei numerosi laboratori sartoriali si confezionano camicie, indumenti su misura e abiti per gli sposi. Nel rione San Giacomo, Paola Buttiglione confeziona splendide camice fatte interamente a mano.

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