Un po' di storia

Il territorio materano è molto ricco di testimonianze archeologiche. Le gravine furono frequentate sin dal Paleolitico, quando l’uomo era cacciatore e raccoglitore, frequentava le grotte naturali e i ripari sotto la roccia e solo in seguito, nel Neolitico, divenne stanziale, cominciò a praticare l’agricoltura e a fondare i primi villaggi, in prossimità di corsi d’acqua e di terreni da coltivare.

Con la scoperta dei metalli l’uomo torna a essere nomade, si sposta con i suoi animali per poi tornare nei luoghi di origine, posti lungo i pendii delle gravine, nei pressi di sorgenti d’acqua e in siti ben difendibili. I villaggi sono fatti di capanne di legno e  argilla impastata con paglia e di grotte scavate nella roccia lungo i pendii delle gravine. Questa forma di insediamento è arrivata fino ai nostri giorni. Ai tempi delle colonie greche di Taranto e Metaponto, ai tempi di Roma, e ancora nel tardo antico e nell’alto medioevo, la forma di insediamento più diffusa a Matera e nelle sue gravine era il casale rupestre di origine preistorica, un insieme di grotte scavate nelle quali i primi cristiani, nell’alto medioevo, ricavarono le prime chiese rupestri. All’insediamento rupestre si sovrappone la costruzione in muratura addossata alla grotta.

Un aspetto davvero interessante della storia della città è che mentre gli artigiani, i contadini e i pastori, hanno sempre vissuto in grotte scavate nella roccia, l’arcivescovo, il clero, i monaci dei diversi ordini religiosi, i nobili e i mercanti della città hanno sempre abitato in maestosi palazzi costruiti secondo il gusto del tempo.

Menù degli approfondimenti

Paleolitico inferiore

Paleolitico medio

Paleolitico superiore

Mesolitico

Neolitico antico

Neolitico medio e superiore

Eneolitico

Età del bronzo

Età del ferro

Età arcaica

Età classica

Età romana

Età tardo antica e medievale

Rinascimento

Barocco

Risorgimento

Novecento

Età moderna e contemporanea

LEGGI TUTTO

Paleolitico inferiore

I materiali più antichi s’attestano tra la collina di Serra Rifusa e la Masseria Porcari e nelle località Palombaio dell’Annunziata, Masseria Potito, Pietrapenta, San Martino, Grottolini. I manufatti sono bifacciali di diaspro, quarzite, calcare selcioso, arenaria compatta e selciosa riferibili culturalmente all’Acheuleano medio e superiore. Anche l’area urbana della città doveva essere frequentata da gruppi di cacciatori anche se manca un’adeguata documentazione, difficile da reperire in un contesto come i Sassi ormai del tutto urbanizzato.  

Torna al menù

Paleolitico medio

È possibile documentare i primi ripari in grotta naturale nel Paleolitico medio, quando la presenza umana s’infittisce. La Grotta dei Pipistrelli e la Grotta Funeraria, posti sul fianco destro della Gravina di Matera, sono a circa quattro chilometri dall’abitato dei Sassi. I numerosi rinvenimenti d’industria litica del tipo levallois-musteriano, raccolti dall’archeologo materano Domenico Ridola e dai suoi collaboratori sui terrazzi che fiancheggiano la gravina di Matera, di Picciano e del Bradano (Cozzica, Murgia Sant’Andrea, Lucignano, Serra Monsignore, Santa Lucia sul Bradano), attestano una diffusa frequentazione del territorio da parte dell’uomo.

Torna al menù

Paleolitico superiore

Come in tutta l’Italia meridionale, nel Paleolitico superiore si assiste a una contrazione della frequentazione umana. Questo periodo è attestato dai rinvenimenti provenienti dalla Grotta dei Pipistrelli, Grotta Funeraria e da pochi altri siti (San Martino, Cozzica, Serra Sant’Angelo) che hanno restituito ciottoli decorati con incisioni a figure geometriche.

Torna al menù

Mesolitico

Non esistono allo stato attuale delle ricerche e dei rinvenimenti riconducibili al Mesolitico, sebbene alcuni reperti del Paleolitico superiore potrebbero aver avuto un utilizzo anche nel Mesolitico e nel Neolitico. Nella Grotta dei Pipistrelli uno strato stalagmitico corrispondente al Mesolitico sembra indicare l’irrigidirsi del clima e il conseguente abbandono della grotta.

Torna al menù

Neolitico antico

Nel territorio di Matera sono attestati i più antichi insediamenti neolitici, strutture abitative, con capanne e fosse per derrate alimentari, cinte da mura difensive e da fossati, databili a partire dalla fine del VII millennio a.C. Il villaggio neolitico di Trasano, a circa cinque chilometri in linea d’aria dai Sassi, è cinto da un muro che è considerato tra i più antichi d’Europa, ha restituito anche i più antichi forni scoperti in Italia e la più antica ceramica a decorazione impressa. In questo periodo le grotte naturali vengono utilizzate a scopi rituali e si attesta anche la presenza dei primi cucchiai di terracotta realizzati a imitazione di esemplari in legno. Un frammento di vaso a decorazione impressa si rinvenne in Piazza San Francesco d’Assisi, nell’area occupata dalla Banca d’Italia. Nella stessa piazza sono state trovate diverse buche per pali di capanne, fosse per derrate alimentari e frammenti d’intonaco di capanna. Nel centro abitato di Matera, in base al materiale preistorico recuperato, i primi insediamenti neolitici dovevano sorgere in posizione elevata, ovvero sulla Civita, nell’area occupata dal Castelvecchio e dalla Cattedrale, sul pianoro che si affaccia sul Sasso Barisano e sul Sasso Caveoso, ovvero nell’area della Banca d’Italia e da Piazza San Francesco d’Assisi e dalla collina del Castello Tramontano. Potrebbero aver avuto un’origine neolitica il fossato del Castello e il fossato che girava attorno a Piazza San Francesco, che nel Medioevo era oltrepassato da due ponti levatoi. Il fossato fu ricoperto da una strada che si disse dapprima via Fossi, l’attuale via del Corso.

Torna al menù

Neolitico medio e superiore

Questo periodo si caratterizza per la produzione della ceramica dello stile di Serra d’Alto, il cui nome deriva da una collina del Materano dove si rinvennero ceramiche decorate con diverse figure geometriche e le più antiche ceramiche dipinte, diffuse nell’Italia meridionale, in Sicilia e a Malta. Un’accetta neolitica in quarzite fu raccolta sulla collina del Lapillo dove sorge il Castello Tramontano.

Torna al menù

Eneolitico

Come in tutta l’Italia Meridionale, non esiste una distinzione netta tra il Neolitico e l’Eneolitico e tra Eneolitico e la prima Età del bronzo per l’insistere delle frequentazioni umane sulle stesse località. Le documentazioni sono di tipo funerario (grotte naturali e artificiali, casse litiche di tradizione neolitica) e provengono da Grotta della Monaca, Grotta dei Pipistrelli, Grotta Funeraria, Murgia Timone, Cappuccini e Serra Monsignore. In località Matinelle di Malvezzi in una tomba si rinvenne un oggetto in rame associato a ceramica nello stile tardo di Serra d’Alto. Un frammento di vaso decorato con fitte striature di tipo eneolitico proviene dall’area della Cattedrale.

Torna al menù

Età del bronzo

Materiali arcaici riferibili alla civiltà appenninica provengono dalla Civita di Matera (Cattedrale e Ospedale Vecchio), dalle tombe collettive a grotticella di Murgia Timone, Murgecchia, San Francesco a Chiancalata, Lamaquacchiola e Cozzica, e dalla tomba a grotta naturale di Pietrapenta. All’Età del bronzo medio e finale si datano altri materiali rinvenuti nella Civita di Matera (San Nicola dei Greci, Cattedrale, Recinto Campanile, Ospedale Vecchio, Gradoni Duomo, Santa Lucia alle Malve), in Piazza San Francesco d’Assisi e in Contrada Cappuccini. Nel Bronzo Finale si diffonde il rito funebre della cremazione attestato sulla collina del Castello, nella Civita di Matera e a Timmari, dove si rinvennero oltre trecento urne cinerarie. Da Piazzetta Caveosa proviene un’accetta di bronzo utilizzata per scavare le grotte.

Torna al menù

Età del ferro

Degli abitati dell’Età del ferro sono noti quelli di Timmari, di Murgia Timone e di Murgecchia. Quest’ultimo sovrapposto a capanne più antiche ha restituito ceramica geometrica di tipo enotrio e japigio. In questo periodo l’altopiano murgico tende a spopolarsi mentre i rioni Sassi si presentano ampiamente urbanizzati a nuclei sparsi (Civita, San Nicola dei Greci, Madonna de Idris, Piazza San Francesco d’Assisi). Vaste necropoli di tombe a tumulo sono nei pressi dei villaggi neolitici a Murgecchia, Murgia Timone, Trasano, Trasanello, Tirlecchia. 

Torna al menù

Età arcaica

Nell’area urbana, materiali di ceramica geometrica bicroma e japigia provengo da Piazza San Francesco, dall’area della Banca d’Italia, dalla Cattedrale, da San Nicola dei Greci, dall’Ospedale Vecchio, da via San Pietro Caveoso, da Santa Lucia alle Malve, da Madonna de Idris. Alcuni di questi siti hanno restituito intonaci di capanna. A San Nicola dei Greci è documentata l’esistenza di una fabbrica di ceramisti. Numerose le testimonianze relative alle necropoli. Gruppi di tombe sono a Madonna de Idris, Piazzetta Caveosa e Ospedale Vecchio, via Madonna delle Virtù. La collina di Timmari ha restituito uno dei più antichi e ricchi santuari arcaici dell’entroterra lucano con migliaia di statuette votive e grandi busti fittili rappresentanti una divinità femminile, statuette della dea seduta in trono e numerose monete d’argento provenienti dalle città della Magna Grecia.

Torna al menù

Età classica

Il popolamento dei Sassi si presenta a nuclei sparsi (San Nicola dei Greci, Cattedrale, via Civita, Madonna de Idris, Piazza San Pietro Caveoso, Piazza San Francesco). L’area della Cattedrale ha restituito un collo di cratere apulo di grandi dimensioni con scene dionisiache da un lato e la figura di Trittolemo su un carro tirato da serpenti che porge il dono delle spighe dall’altro. Dallo stesso sito provengono alcuni crateri a colonnette e a campana, tra cui uno a figure rosse raffigurante guerrieri in partenza. Un oinochòe a figure rosse si rinvenne in via Sant’Angelo, mentre da Porta Pistola proviene un busto femminile di terracotta. Altre statuine votive provengono dal santuario indigeno del Bosco di Lucignano, nel Parco della Murgia Materana, nei pressi del quale doveva sorgere un centro abitato sconosciuto. 

Torna al menù

Età romana

Dall’area della Banca d’Italia provengono frammenti di vasi in vetro d’età romana imperiale, un’ampolla in vetro viola d’età augustea e tiberiana e materiali ceramici d’età claudia. I resti di un grande monumento funerario con una statua in marmo di Dioniso con volto giovanile e capo cinto di grappoli d’uva che si poggia con l’avambraccio sinistro su un pilastro con tralci di vite alto si rinvenne nell’area della Cattedrale.

Torna al menù

Età tardo antica e medievale

I grandi nuclei cimiteriali d’Età tardo antica e altomedievale (Cattedrale, Santa Lucia alle Malve, San Leonardo, Piazza San Francesco d’Assisi) databili tra il VI e XI secolo, hanno restituito oltre trecento tombe che testimoniano un’intensa attività soprattutto a partire dal periodo longobardo in confronto con altri insediamenti dello stesso periodo. Il cimitero di Santa Lucia alle Malve, nel Sasso Caveoso, risulterebbe tra i più antichi cimiteri longobardi dell’Italia Meridionale. Numerose le monete di epoca greco-romana, bizantina, medievale e moderna rinvenute nei Sassi e custodite presso il museo Ridola. Tra tutte, il numero delle monete bizantine supera i trecento pezzi. Cimiteri databili all’Età tardo medievale sono stati individuati presso la chiesa di San Giovanni Battista, di San Pietro Barisano, di San Giovanni in Monterrone e di Santa Barbara.

Non solo Grotte – Romanico – Il romanico si manifesta per la prima volta in città nella cripta ipogea di Sant’Eustachio, un vero gioiello d’architettura medievale, unica testimonianza dell’antico Monastero benedettino di Sant’Eustachio, fondato dai cavalieri normanni e distrutto dopo l’abbandono della struttura da parte dei monaci per fare posto alla cattedrale. La cripta ha una pianta quadrata, con tre navate e tre absidi. I quattro pilastri centrali reggono gli archi a tutto sesto e le volte scandite da nove cupole. L’architettura romanica raggiunge la sua espressione più alta nella chiesa di San Giovanni Battista, uno dei monumenti più significativi dell’architettura medievale in città. Vi si accede da un portale arabesco riccamente decorato con foglie di acanto, pigne, frutti del bagolaro (albero dei rosari), e volti di sei fanciulle simbolo della purezza dell’infanzia. La chiesa è a pianta rettangolare con tre absidi chiuse all’esterno da una parete piatta, le colonne sono quadrilobate come nell’architettura cistercense e gli archi hanno un intradosso ogivale tipico dello stile moresco. Numerosi i temi trattati negli splendidi capitelli di gusto classico e corinzio da quello dell’infanzia, della primavera, dell’abbondanza e della gioia per la resurrezione di Pasqua, a quelli delle figure umane e zoomorfe. Un’altra meraviglia del romanico è la Cattedrale con lo splendido rosone, che ha ispirato quello della chiesa di San Domenico, e il portale decorato con un intreccio di tradizione normanna. L’interno a croce latina ha subito numerosi rifacimenti specie nel secolo XVIII che hanno trasformato l’originario impianto romanico in una “domus aurea” splendidamente barocca. Ci rimangono dello stile originario le colonne e i capitelli con foglie, frutti, busti di notabili e di guerrieri. Nella chiesa si venera l’affresco sotto forma di icona della Madonna della Bruna, protettrice della città. Altri splendidi portali romanici si possono ammirare nella chiesa di Santa Maria della Valle, all’ingresso del Convicinio di Sant’Antonio e nella facciata del Monastero benedettino di Santa Maria de Armeniis.

Torna al menù

Rinascimento

Nel Cinquecento fu molto attiva in città la scuola di scultura della famiglia Persio di cui apprezziamo nella cattedrale la meravigliosa cappella dell’Annunziata con pareti a nicchie e volte a cassettoni, opera di Giulio Persio del 1598, il dossale d’altare in pietra decorato con splendidi fregi rinascimentali del 1539 e il presepe in pietra policroma di Altobello Persio del 1534, interamente ispirato alle grotte e agli abitanti dei Sassi. Nel presepe i personaggi che visitano la grotta di Betlemme hanno in mano strumenti musicali che oggi non sono più in uso. Si ammirano la surdulina, il salterio, la ghironda, il tamburo a cornice, il tamburo a corde. La più grande costruzione rinascimentale è il Castello aragonese del conte Tramontano, una fortezza imponente che doveva ben resistere agli assalti dell’artiglieria pesante grazie ai possenti torrioni cilindrici. Sulla facciata, difesa da un maschio centrale e da due torrioni laterali, si apre su un profondo fossato difensivo la porta carraia predisposta per accogliere un ponte levatoio. Il maniero, che avrebbe potuto avere una forma triangolare, è rimasto incompiuto per la tragica uccisione dell’inviso Conte avvenuta nel 1514. In quel periodo erano in costruzione oltre al Castello, circondato da vigneti, anche le mura che avrebbero dovuto cingere il Piano con cinque porte: la porta le Croci, dalle stazioni un tempo situate della via crucis, in via Santo Stefano, all’ingresso del Sasso Barisano, la porta di San Biagio, addossata alla Chiesa di San Biagio, in via Tommaso Stigliani, la Porta di San Domenico, detta anche Porta della Bruna, la porta principale di accesso alla città, nei pressi della torre aragonese venuta alla luce negli ambienti ipogei di Piazza Vittorio Veneto, la Porta delle Pigne, cosiddetta per una copiosa piantagione di cipressi, in via La Vista, e la Porta Felice o dei Cappuccini, in via Ridola, che conduceva al convento dei Cappuccini. Nel 1448 Giovanni Antonio Orsini del Balzo, Principe di Taranto, Conte di Matera e di Lecce, concesse ai maggiorenti della città la possibilità d’acquistare l’antico maniero longobardo, ampliato in età normanno sveva e angioina, per costruire splendidi palazzi e inglobare i torrioni a pianta quadra del Castelvecchio, mentre nei Sassi non ancora ampiamente urbanizzati, pieni di iazzi, giardini, orti e vigneti, i braccianti agricoli e gli artigiani, costruirono le prime case palazziate “imbriciate”, cioè coperte di tegole, sopra le grotte preesistenti di proprietà del Capitolo Arcivescovile. In questo modo la casa restava al costruttore che continuava a versare al Capitolo lo stesso canone annuo, assai basso, per il fitto della grotta senza considerare l’aumento di valore della grotta realizzato con la costruzione della parte in muratura. Una specie di diritto sulle aree edificabili che il Capitolo riscuoteva sul suolo di proprietà. In questo stesso periodo gli Schiavoni, serbo-croati e albanesi, tra orti e vigneti, scavarono altre abitazioni in grotta e cantine, in continuità con il Sasso Caveoso, creando un nuovo casale che si disse Casalnuovo.

Torna al menù

Barocco

Nella seconda metà del Seicento, in concomitanza con l’elezione di Matera a capoluogo di regione e sede della Regia Udienza di Basilicata, si avvia in città un processo pianificato di ammodernamento e trasformazione che coinvolge le istituzioni religiose, il ceto nobile e borghese e alcune confraternite laicali. Il luogo prescelto per dare impulso al cambiamento fu l’area pianeggiante a ridosso dei Sassi, il Piano che ne definisce il bordo superiore. Il primo edificio a essere costruito sul Piano fu il Palazzo Lanfranchi nel 1668, quale sede del Seminario, con la splendida facciata rivolta verso il nuovo sviluppo della città, che seppe inglobare in armonia la preesistente chiesa del Carmine. Spiccati elementi barocchi si notano nel Monastero e nella Chiesa di Santa Chiara che sembra aver avuto quale modello architettonico di riferimento proprio la facciata della Chiesa del Carmine inglobata nel Palazzo Lanfranchi. Alla committenza laicale si devono la chiesa di San Francesco da Paola e la chiesa del Purgatorio, unico esempio in città di chiesa a pianta centrale, ispirata alla tradizione barocca napoletana e pugliese, con splendida cupola lignea decorata con le immagini degli Evangelisti e dei Dottori della Chiesa. Un celebre esempio di rinnovato stile rococò ispirato agli esempi napoletani è l’ordine inferiore del Monastero dell’Annunziata – concepito in un primo momento con la chiesa inglobata nel palazzo. Il disegno dell’ordine superiore fu affidato al nuovo architetto che riprese in facciata l’andamento concavo-convesso generato dalla sovrapposizione delle paraste. Di carattere bizzarro e monumentale è la facciata della chiesa di San Francesco D’Assisi, chiesa di fondazione romanica, con il suo ricco programma decorativo, fatto di cortine, putti festanti e statue che completano i settori laterali. L’impulso barocco rinnovò di stucchi e di nuovi altari gli interni delle chiese di San Domenico, di San Francesco D’Assisi, di Sant’Agostino e della Cattedrale. Nella chiesa di San Pietro Caveoso e in Cattedrale un tavolato ligneo dipinto ricoprì le capriate con un gusto ispirato al tardo barocco napoletano. Anche i Cavalieri di Malta si lasciarono influenzare dalle nuove tendenze. Il campanile della chiesa rupestre del Santo Spirito, oggi chiesa di Mater Domini, fu decorato con una fascia di bugnato a punta di diamante. Con tutti questi interventi operati sul Piano, la città cominciò ad assumere un aspetto nuovo, sia per l’articolazione che per la dimensione degli spazi.

Torna al menù

Risorgimento

Nel 1806 Matera perse il ruolo di capoluogo della Basilicata, a vantaggio di Potenza. La città cadde in un periodo di crisi, caratterizzato dalla precarietà delle condizioni di vita dei contadini in lotta con la borghesia per l’occupazione delle terre del demanio. Con lo spoglio di Matera, così lo definirono i cittadini dell’epoca, furono trasferiti a Potenza l’Intendenza e il Tribunale. La città cercò di reagire invocando la restituzione di quei servizi, e ottenne il tribunale distrettuale nel 1862 dopo oltre cinquant’anni, e il capoluogo di provincia nel 1927 dopo oltre 120 anni. Nel 1806 i nobili della città con l’abolizione della feudalità furono ridotti a semplici cittadini pur mantenendo le loro proprietà e a partire dal 1807 e con le leggi eversive del 1866 furono soppressi tutti gli ordini religiosi con grave danno anche per i contadini che lavorano le terre dei monaci. Nel 1818 fu soppressa persino la Diocesi arcivescovile e la Cattedrale ridotta a semplice collegiata alle dipendenze di Acerenza. La Diocesi fu ripristinata nell’anno seguente per intercessione del Sovrano. Per queste ragioni l’Ottocento segna un rallentamento dei lavori di abbellimento della città per la totale assenza dell’edilizia religiosa e la scarsa vivacità dell’edilizia privata. Tra le grandi opere pubbliche degne di nota si ricorda l’acquedotto della collina del Lapillo con la fontana monumentale del 1832, in piazza Vittorio Veneto, e l’acquedotto  del Sasso Caveoso del 1844, in via Purgatorio Vecchio. Dal punto di vista urbanistico tra le opere dovute all’edilizia privata si segnala Palazzo Malvezzi, in via XX  Settembre, accanto al Convento dei domenicani e Palazzo Zagarella, in via Ridola, mentre il resto dell’edilizia privata si mantenne su livelli molto più bassi. Per soddisfare le esigenze di carattere pubblico, si riutilizzarono con funzioni diverse, gli immobili lasciati dagli ordini monastici soppressi. Il Seminario Lanfranchi divenne sede del Liceo Classico e del Convitto Comunale, il Convento dell’Annunziata fu la sede del Tribunale, il Convento di San Domenico dell’Ufficio Postale, il Convento di San Rocco dell’Ospedale Civile, il Convento di San Francesco divenne sede della Gendarmeria Reale e così via. In questo periodo tutta la borghesia si trasferì sul Piano e i Sassi divennero quartieri degradati abitati dalle classi sociali più deboli come contadini, braccianti agricoli, artigiani e pastori.

Torna al menù

Novecento

Con la visita del presidente del Consiglio Zanardelli nel 1902, l’opinione pubblica cominciò a sensibilizzarsi sulle condizioni di vita negli antichi rioni Sassi. In città arrivò l’illuminazione per le strade, alle prime fabbriche costruite sul finire dell’Ottocento s’aggiunsero per iniziativa di imprenditori privati mulini e pastifici, una fabbrica di ceramica e di laterizi, una fabbrica di lavorazione del tabacco e si costruì, nel 1915, la ferrovia per collegare Matera ad Altamura.  E quando nel 1927 Matera divenne Capoluogo di Provincia arrivò anche l’Acquedotto Pugliese e si cominciò a pianificare un nuovo sviluppo urbanistico della città che si dotò del primo Piano Regolatore. Furono costruiti il Borgo Venusio, i rioni popolari in via Gattini e a Piccianello, l’Asilo Comunale nel Sasso Barisano, il Palazzo della Provincia, la Scuola Elementare, la Camera di Commercio, il Palazzo degli Impiegati Statali, il Banco di Napoli, l’Ufficio Postale, il Palazzo dell’Ina, il Palazzo del Dispensario, si coprirono i grabiglioni dei Sassi con la strada carrabile che collega i due rioni, ma nonostante questi interventi gli abitanti dei Sassi continuavano a vivere in case non idonee e nel Dopoguerra con la legge n. 619 del 1952 furono trasferiti in nuovi quartieri. La città si dotò di un nuovo Piano Regolatore redatto dall’architetto Luigi Piccinato e sorsero i nuovi rioni su iniziativa pubblica spesso integrata da edilizia privata. Si costruì dapprima il borgo rurale La Martella su progetto di Ludovico Quaroni, a sei chilometri dalla città, per le prime mille famiglie dei Sassi, con strade che seguono le curve di livello, case basse con tanto spazio all’aperto per gli animali e strutture collettive quali l’Asilo, l’Ambulatorio, l’Ufficio Postale, le Scuole Elementari e Medie, il Teatro, la Biblioteca, il Campo Sportivo e la Chiesa a forma di granaio. Seguì la costruzione del rione Serra Venerdì su progetto di Luigi Piccinato, con spazi verdi attorno alle case, una piccola pineta, il Campo Scuola Coni, le Scuole, il Complesso Polisportivo. Poi si realizzarono il rione Lanera, su progetto di Marcello Fabbri, con spazi verdi attorno alle palazzine e pineta annessa all’Ospedale Civile, il rione Spine Bianche costruito con mattoni di terra cotta, su progetto dell’architetto Carlo Aymonino, il rione Villalongo, sorto per iniziativa dell’INA CASA, e il rione San Giacomo realizzato grazie al contributo di diversi progettisti. Su progetto del Genio civile furono costruiti il rione Agna, il Villaggio del Fanciullo e la Chiesa del rione Lanera, le Scuole e la Chiesa del rione Spine Bianche.

Torna al menù

Età moderna e contemporanea

Lo sfollamento completo dell’abitato rupestre per motivi igienico sanitari, avvenuto tra il 1952 e il 1968, aveva aggravato il degrado statico strutturale delle abitazioni, e allo stesso tempo aveva conservato intatto fino ai nostri giorni il suo antico profilo rupestre. Negli anni Cinquanta, a seguito dello sfollamento dei Sassi per motivi igienico sanitari, Matera divenne un laboratorio d’idee. Su iniziativa di Adriano Olivetti, presidente dell’Istituto Nazionale di Urbanistica, nacque la Commissione per lo studio della città e dell’agro di Matera che vide impegnati il sociologo Frederick Friedmann ed esponenti prestigiosi dell’urbanistica italiana quali Ludovico Quaroni, Luigi Piccinato, Marcello Fabbri e Carlo Aymonino, impegnati nella costruzione di nuovi quartieri residenziali ai margini della città. La città divenne luogo d’attrazione di grandi maestri della fotografia quali Henry Cartier-Bresson, Mario Cresci, Franco Pinna, di grandi cineasti come Pier Paolo Pasolini (che nel 1954 volle ambientare a Matera il suo film Il Vangelo secondo Matteo), di grandi antropologi come Ernesto De Martino, di grandi scrittori come Carlo Levi (che descrive Matera nel Cristo si è fermato a Eboli), di grandi pittori e scultori come Josè Ortega e Pietro Consagra (che nel 1978 – dopo aver creato per Matera e installato nei Sassi e nel parco della murgia undici sculture chiamate “I ferri bifrontali di Matera” – si fece promotore di un importante documento per la salvaguardia dei centri storici chiamato Carta per Matera: si chiedeva al Governo d’intervenire per la tutela dei Sassi). Dieci anni più tardi, con la legge n. 771 del 1986 per la conservazione, il recupero architettonico, urbanistico e ambientale, e la valorizzazione dei Sassi e del Parco della Murgia, gli antichi rioni sono stati dichiarati di preminente interesse nazionale. In seguito la proprietà edilizia statale fu trasferita in concessione al Comune di Matera, che nel frattempo s’era dotato dell’Ufficio Sassi come previsto dalla legge nazionale per avviare il restauro conservativo dei Sassi nel pieno rispetto delle tipologie e dei materiali originali e la sua valorizzazione. Dopo aver evitato il processo di musealizzazione globale dei Sassi, proposta avanzata nel concorso internazionale di idee bandito nel 1974 da chi vedeva gli antichi rioni come un quartiere monumento, si decise di dare al centro storico il giusto valore favorendo il riuso delle residenze private, il ripristino delle attività commerciali e artigianali, i presidi culturali e di candidare i Sassi all’Unesco. Il dossier predisposto dall’architetto Pietro Laureano venne presentato presso la sede Unesco di Parigi nel 1992 con l’appoggio dello Stato Italiano in ottemperanza ad alcuni criteri d’eleggibilità stabiliti dalla commissione. Nel 1993 l’ICOMOS confermò il valore inestimabile dei Sassi soprattutto in virtù della conservazione del sito che mantiene ancora intatta la sua originalità. Durante la Convenzione Unesco tenutasi in Colombia, a Cartagena, la commissione giudicatrice s’espresse con la seguente valutazione: “Il quartiere dei Sassi di Matera è, su lungo periodo, il migliore e più completo esempio di popolamento in armonia con l’ecosistema, in una regione del bacino del Mediterraneo”. Nel 1995 per il restauro dei Sassi, gioiello del patrimonio architettonico europeo, la città ha vinto il primo Premio Europeo di Pianificazione Urbana e Regionale, organizzato dalla Commissione Direzione Generale Politiche Regionali sotto la supervisione del Consiglio Europeo degli Urbanisti e nel 2014 è stata designata Capitale Europea della Cultura del 2019.

Torna al menù